3 settembre 2021

 

🟥 LA LOTTA CONTRO I LICENZIAMENTI: PER UNA RISPOSTA UNITARIA E GENERALE, ALL’ALTEZZA DELL’ATTACCO DI PADRONI E GOVERNO!
Un contributo che il Partito Comunista dei Lavoratori sottopone alla riflessione e alla discussione di tutte le organizzazioni del Patto d'azione anticapitalista, di cui siamo parte.
Cari compagni e care compagne.
Crediamo sia necessario aggiornare con uno sguardo d’insieme lo scenario che si presenta al piede di partenza dell’autunno dal punto di vista del…
Altro...
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 Raggiungeteci sotto la questura di Prato. Hanno portato dentro gli operai Texprint e i coordinatori sindacali in sciopero della fame. 

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2 settembre 2021

L'assemblea pCollettivo Di Fabbrica - Lavoratori Gkn Firenze delle lavoratrici

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e dei lavoratori Gkn ha votato e fatto proprio il seguente documento di indirizzo per una legge contro le delocalizzazioni, redatto dal gruppo dei giuslavoristi intervenuto il 26 agosto di fronte ai cancelli.
Nessuna legge sulle nostre teste, ma una legge che sia scritta con le nostre teste. Siamo pronti a presentare il testo di legge, ad arricchirlo sui cancelli di ogni azienda, a sostenerlo nelle piazze.
FERMIAMO LE DELOCALIZZAZIONI
Delocalizzare un’azienda in buona salute, trasferirne la produzione all’estero al solo scopo di aumentare il profitto degli azionisti, non costituisce libero esercizio dell’iniziativa economica privata, ma un atto in contrasto con il diritto al lavoro, tutelato dall’art. 4 della Costituzione. Ciò è tanto meno accettabile se avviene da parte di un’impresa che abbia fruito di interventi pubblici finalizzati alla ristrutturazione o riorganizzazione dell’impresa o al mantenimento dei livelli occupazionali Lo Stato, in adempimento al suo obbligo di garantire l’uguaglianza sostanziale dei lavoratori e delle lavoratrici e proteggerne la dignità, ha il mandato costituzionale di intervenire per arginare tentativi di abuso della libertà economica privata (art. 41, Cost.).
Alla luce di questo, i licenziamenti annunciati da GKN si pongono già oggi fuori dall’ordinamento e in contrasto con l’ordine costituzionale e con la nozione di lavoro e di iniziativa economica delineati dalla Costituzione.
Tale palese violazione dei principi dell’ordinamento, impone che vengano approntati appositi strumenti normativi per rendere effettiva la tutela dei diritti in gioco. Per questo motivo è necessaria una normativa che contrasti lo smantellamento del tessuto produttivo, assicuri la continuità occupazionale e sanzioni compiutamente i comportamenti illeciti delle imprese, in particolare di quelle che hanno fruito di agevolazioni economiche pubbliche.
Tale normativa deve essere efficace e non limitarsi ad una mera dichiarazione di intenti. Per questo motivo riteniamo insufficienti e non condivisibili le bozze di decreto governativo che sono state rese pubbliche: esse non contrastano con efficacia i fenomeni di delocalizzazione, sono prive di apparato sanzionatorio, non garantiscono i posti di lavoro e la continuità produttiva di aziende sane, non coinvolgono i lavoratori e le lavoratrici e le loro rappresentanze sindacali.
Riteniamo che una norma che sia finalizzata a contrastare lo smantellamento del tessuto produttivo e a garantire il mantenimento dei livelli occupazionali non possa prescindere dai seguenti, irrinunciabili, principi.
1. A fronte di condizioni oggettive e controllabili l’autorità pubblica deve essere legittimata a non autorizzare l’avvio della procedura di licenziamento collettivo da parte delle imprese.
2. L’impresa che intenda chiudere un sito produttivo deve informare preventivamente l’autorità pubblica e le rappresentanze dei lavoratori presenti in azienda e nelle eventuali aziende dell’indotto, nonché le rispettive organizzazioni sindacali e quelle più rappresentative di settore.
3. L’informazione deve permettere un controllo sulla reale situazione patrimoniale ed economico-finanziaria dell’azienda, al fine di valutare la possibilità di una soluzione alternativa alla chiusura.
4. La soluzione alternativa viene definita in un Piano che garantisca la continuità dell’attività produttiva e dell’occupazione di tutti i lavoratori coinvolti presso quell’azienda, compresi i lavoratori eventualmente occupati nell’indotto e nelle attività esternalizzate.
5. Il Piano viene approvato dall’autorità pubblica, con il parere positivo vincolante della maggioranza dei lavoratori coinvolti, espressa attraverso le proprie rappresentanze. L’autorità pubblica garantisce e controlla il rispetto del Piano da parte dell’impresa.
6. Nessuna procedura di licenziamento può essere avviata prima dell’attuazione del Piano.
7. L’eventuale cessione dell’azienda deve prevedere un diritto di prelazione da parte dello Stato e di cooperative di lavoratori impiegati presso l’azienda anche con il supporto economico, incentivi ed agevolazioni da parte dello Stato e delle istituzioni locali. In tutte le ipotesi di cessione deve essere garantita la continuità produttiva dell’azienda, la piena occupazione di lavoratrici e lavoratori e il mantenimento dei trattamenti economico-normativi. Nelle ipotesi in cui le cessioni non siano a favore dello Stato o della cooperativa deve essere previsto un controllo pubblico sulla solvibilità dei cessionari.
8. Il mancato rispetto da parte dell’azienda delle procedure sopra descritte comporta l’illegittimità dei licenziamenti ed integra un’ipotesi di condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 l. 300/1970
Riteniamo che una normativa fondata su questi otto punti e sull’individuazione di procedure oggettive costituisca l’unico modo per dare attuazione ai principi costituzionali e non contrasti con l’ordinamento europeo. Come espressamente riconosciuto dalla Corte di Giustizia (C-201/2015 del 21.12.2016) infatti la “circostanza che uno Stato membro preveda, nella sua legislazione nazionale, che i piani di licenziamento collettivo debbano, prima di qualsiasi attuazione, essere notificati ad un’autorità nazionale, la quale è dotata di poteri di controllo che le consentono, in determinate circostanze, di opporsi ad un piano siffatto per motivi attinenti alla protezione dei lavoratori e dell’occupazione, non può essere considerata contraria alla libertà di stabilimento garantita dall’articolo 49 TFUE né alla libertà d’impresa sancita dall’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE”
Riteniamo altresì che essa costituisca un primo passo per la ricostruzione di un sistema di garanzie e di diritti che restituisca centralità al lavoro e dignità alle lavoratrici e ai lavoratori.
Per permettere una ponderata valutazione degli interessi incisi dal testo dell’atto legislativo in cantiere riteniamo necessaria ed immediata una sospensione da parte del Governo delle procedure di licenziamento ex l. 223/91 ad oggi avviate dalle imprese.
Documento redatto da
Danilo Conte
Giovanni Orlandini
Paolo Solimeno
Massimo Capialbi
Pier Luigi Panici
Silvia Ventura
Giulia Frosecchi
Marzia Pirone
Francesca Maffei
Approvato dall'assemblea permanente delle lavoratrici e dei lavoratori Gkn

1 settembre 2021

 

Era ampiamente previsto, e sta succedendo, esattamente come da copione: si esasperano gli animi, si approfondisce il solco fra le fazioni, poi si aspetta che qualcuno perda il controllo e reagisca, e così si criminalizza l’intera categoria.

Da oggo il nuovo dibattito sui talk-show serali è se esista un parallelo fra la violenza dei no-vax di oggi è il terrorismo delle brigate rosse.

Ovviamente, sanno tutti benissimo che non è così. Ma è sufficiente suggerirlo, perchè in qualche modo il concetto entri nell’inconscio collettivo. Ora che la parola “terrorista” è stata accostata alla parola “novax”, nulla potrà più separarla. Ci penserà poi la finestra di Overton - ovvero il lavorìo quotidiano della stampa mainstream – a renderla man mano più accettabile.

Il tutto inoltre avviene all’alba del giorno in cui il greenpass entra in vigore anche per i viaggi in treno e in aereo, esasperando così ancora di più gli animi già tesi di coloro che si sentono discriminati da questo provvedimento incostituzionale. La giornata di oggi (mercoledì) sarà cruciale per determinare il prosieguo del pubblico dibattito: se malauguratamente dalle previste proteste alle stazioni ferroviarie dovesse scaturire un grave fatto di violenza, questo darebbe il la a tutti coloro che aspettano solo un segnale favorevole per poter dire “Adesso basta. Repressione massima, e obbligo generalizzato”.

 

Il vero problema naturalmente non sta nella violenza di oggi, ma in coloro che hanno voluto scavare il solco ieri, ben sapendo a cosa avrebbe portato. Sono le stesse persone che oggi se ne stanno chiuse e rintanate in casa loro, con le finestre abbassate, ad aspettare il “fattaccio” che conceda loro il pretesto per calare definitivamente la mannaia.

Era tutto già scritto, e tutto sta accadendo secondo copione. Sta soltanto a noi cercare di fare in modo che questa storia prenda una direzione diversa da quella prevista.

E’ giusto essere incazzati, è giusto protestare ad oltranza, ma bisogna riuscire a farlo evitando di offrire alla controparte una scusa plausibile per una reazione fortemente repressiva. Serve a poco minacciare il singolo ministro o il singolo virologo, se non appunto ad offrire agli altri questa scusa su un piatto d’argento.

Oggi la cosiddetta “galassia no-vax” consta di un numero enorme di persone: sono dai dodici ai quindici milioni gli italiani che, per un motivo o per l’altro, non si vogliono vaccinare. Basterebbe a queste persone perseverare e tenere duro sulle proprie posizioni, senza mai cedere ai ricatti, e la battaglia alla fine sarebbe vinta comunque: non puoi obbligare quindici milioni di persone a fare qualcosa, se non la vogliono fare.

Basta resistere. Basta lasciar trascorrere il tempo necessario perchè la campagna vaccinale si incarti su sè stessa. Ormai siamo già dichiaratamente alla necessità di una terza dose, e presto l’intera idea del vaccino come “unica arma per uscire dal covid” diventerà ridicola a crollerà miseramente su sè stessa. Da sola, senza bisogno di fare niente.

La parola giusta non è "aggressione", ma "resistenza".

Esiste una bellissima immagine, nella filosofia taoista wu-wei: “L’uomo che cerca di risalire la corrente tempestosa del fiume farà una fatica enorme, e alla fine avrà fatto pochissima strada, se non rischia addirittura di cadere e di annegare. Se invece l’uomo, nel momento di difficoltà, sta fermo con le gambe ben piantate sul fondo, e lascia che sia l’acqua a scorrergli attorno, l’uomo non farà nessuna fatica, e otterrà comunque il risultato desiderato. Non sarà lui ad aver risalito il fiume, ma sarà l’acqua sporca ad essere scesa a valle”.

Che cosa sono le gambe ben piantate, nella metafora? Sono i quindici milioni di italiani che non si vogliono vaccinare, e che protestano pacificamente ad oltranza, senza mai passare dalla parte del torto, per non offrire alla controparte la scusa che sta aspettando per mettere mano ai manganelli.

Quelli, purtroppo, ce li hanno in mano loro. Noi, dalla nostra, abbiamo la ferma certezza di non voler cedere ai ricatti, e di voler difendere i nostri diritti fino in fondo. Ed è questa la cosa che a loro fa più paura.

Massimo Mazzucco

31 luglio 2021

 


Opporsi ai padroni e al governo, non alla vaccinazione di massa

Per un'alternativa anticapitalista nella gestione della pandemia

31 Luglio 2021

Nessun accodamento alle manifestazioni reazionarie no vax. Per un'autonoma posizione di classe in merito alla vaccinazione

no_vax


Quasi 130000 persone in Italia, oltre 4 milioni nel mondo – molte ma molte di più in numeri reali, ovunque superiori a quelli registrati – si sarebbero vaccinate volentieri se solo ne avessero avuto la possibilità. Sono morte anche perché non l’hanno avuta. È bene partire da questo dato drammatico nell’affrontare la polemica sulla vaccinazione, sull’obbligo della stessa, sul cosiddetto green pass. È il principio di realtà che le manifestazioni in corso contro la “dittatura sanitaria” rimuovono con disinvoltura, spesso con cinismo.

Il crogiolo di sentimenti che anima le manifestazioni in corso è assai eterogeneo. Culture antiscientiste, ideologie neonaturiste, pregiudizi complottisti, paure ancestrali... Ma soprattutto l’egoismo individualistico di chi antepone ad ogni altra considerazione la proiezione smisurata del proprio “io”: la spontanea proiezione ideologica del piccolo-borghese, normalmente indifferente ai tagli della sanità pubblica, ma inviperito se la salute pubblica gli chiede semplicemente un contributo. La libertà che egli invoca è essenzialmente la propria libertà. Anche la libertà di contagiare. Non è un caso se le destre reazionarie egemonizzano questo sentimento. È la stessa ragione per cui egemonizzano l’indifferenza alla morte degli operai in fabbrica nel nome della libertà di sfruttamento; o il disprezzo per l'ambiente nel nome della libertà di saccheggiarlo; o l’ostilità contro gli immigrati nel nome della libertà dagli “invasori”. In ballo c’è sempre la propria libertà contro quella del genere umano, il suo diritto alla vita e alla dignità.

Si dirà che non sono solo i reazionari a protestare, che vi sono anche persone democratiche e persino settori antagonisti. Vero. Ma chi dà il segno politico e culturale alla protesta è indiscutibilmente la reazione: la sua base sociale nel commercio e tra i ristoratori (“Io apro” in fascia tricolore), il suo corpo militante tra gli organizzatori (inclusi Forza Nuova e CasaPound), i suoi referenti politico-istituzionali (Lega e Fratelli d’Italia). Se ambienti di sinistra e persino antagonisti si accodano di fatto a questo magma, ciò non misura un profilo più “progressista” delle manifestazioni, ma solo l’estrema confusione di questi ambienti, al di là naturalmente di ogni intenzione soggettiva. Il fatto che in Francia il grosso della sinistra politica cosiddetta radicale – Mélenchon in testa – partecipi alle manifestazioni reazionarie contro Macron dimostra che non c’è limite al peggio. Ma non abbellisce ciò che avviene in Italia. Semmai suggerisce di tamponare per tempo rischi analoghi.

Vi sono milioni di persone che non si possono vaccinare. Non che non vogliono, semplicemente non possono. Per ragioni di salute, di fragilità, di emarginazione, di età. È accaduto in tutta la storia delle vaccinazioni. L’obbligo vaccinale contro la poliomielite, sancito in Italia per legge nel 1965, mirò a proteggere dalla malattia fasce sociali emarginate del Meridione. Da allora la poliomielite è stata estirpata, nonostante le grida sulla libertà violata. Nel 1973, quando a Napoli si affacciò il colera, con 278 casi e 24 morti, la rivendicazione dei lavoratori e dei disoccupati fu quella dell’obbligo immediato di vaccino per tutta la popolazione. Il colera fu battuto anche per l’iniziativa del movimento operaio, con la vaccinazione di un milione di napoletani in una sola settimana. Vaccinarsi anche per chi non si può vaccinare appartiene alla storia della solidarietà classista.

La vaccinazione di massa si è sempre battuta contro le resistenze di culture reazionarie. Il vaiolo fu debellato nell’Ottocento in Inghilterra grazie all’inoculazione di un vaccino animale, contestato da furibonde campagne antivacciniste (le leghe contro il vaccino) che denunciavano, con l’identico frasario di oggi, la violazione statale delle libertà civili. Ciononostante anche i vaccini successivi, legittimati dalle scoperte di Pasteur e della microbiologia, incontrarono resistenze, proteste, spesso scomuniche religiose nel nome della superiore legge di natura voluta da Dio.
Sempre il progresso della scienza si è fatto largo infrangendo il pregiudizio, la “libertà” del piccolo-borghese. Il fatto che nel 2020-2021 la vaccinazione anti-Covid si confronti con campagne analoghe, diversamente assortite, dimostra in fondo che la società capitalista è incapace di alzare la coscienza generale al livello del progresso scientifico.
Un miliardo di africani è privato del diritto al vaccino, sequestrato dalle multinazionali e dai loro Stati imperialisti. In compenso nei paesi imperialisti settori significativi delle classi medie contestano non solo l’obbligo del vaccino, ma persino il più modesto green pass. Questa contraddizione misura l’irrazionalità dell’attuale condizione del mondo, sotto il dominio del capitalismo, non certo l'irrazionalità del vaccino.

Il pregiudizio piccolo-borghese è capace di mille nobili travestimenti.

Gli attuali vaccini non sono stati testati, non si conoscono i loro effetti a distanza, protestano con aria saccente fior fiore di intellettuali resistenti che rivendicano la “libertà” di scelta. In realtà le tecnologie che presidiano i nuovi vaccini mRNA sono state individuate nel 1990, esattamente trentuno anni fa. Le procedure della loro sperimentazione iniziarono nei primissimi anni Duemila, sotto la pressione dell'epidemia della SARS, ceppo originario dell’attuale Covid. Semmai la vera responsabilità degli Stati borghesi fu quella di affidare la ricerca scientifica alle case farmaceutiche, che l’hanno interrotta non appena la SARS si estinse, perché venne meno il proprio interesse di mercato. La rapidità con cui oggi sono stati individuati i vaccini è da un lato il ritorno dell'interesse di mercato per chi li produce – ingrassato dagli aiuti statali ai profitti a carico dei salariati – e dall'altro la ricerca scientifica pregressa. Ma invece di denunciare il criminale ritardo nella ricerca vaccinale dovuto al profitto, si chiama in causa la “sospetta” rapidità della scoperta del vaccino. Una rappresentazione capovolta della realtà, che assolve paradossalmente la società borghese.

I tempi brevi di sperimentazione clinica dei vaccini non riguardano solo i vaccini anti-Covid. Il vaccino influenzale tradizionale, ad esempio, non può disporre di anni di sperimentazione clinica, per il semplice fatto che cambia ogni anno, a causa della variazione dei ceppi virali. Dovremmo dunque abrogarlo?
Si dirà che non viene obbligato né indotto per legge. È vero, ma a fronte di una soglia di rischio enormemente più bassa del Covid, come dimostra ogni comparazione statistica.
In realtà la tesi per cui il vaccino va sperimentato sulla lunga distanza è solo un artificio retorico. Quanto sarebbe la distanza temporale necessaria per convincersi dell’opportunità del vaccino? Dieci, venti, trent'anni? L'argomento degli effetti a distanza è stato sempre usato storicamente contro tutti i vaccini da parte delle correnti antiscientiste. Sembra efficace solo perché confonde i piani. Certo, la scienza medica seria verifica sempre nel lungo periodo gli effetti delle proprie scoperte. Ma può dover anche confrontarsi con sfide drammatiche in tempi brevi, che decidono della vita e della morte di milioni di esseri umani. Rinunciare oggi alla vaccinazione o contestare l'esigenza della massima copertura vaccinale per rinviare alla verifica della lunga distanza significa scegliere la certezza qui e ora della moltiplicazione dei morti per Covid. Il rischio futuro è virtuale, la certezza presente è reale. Ha un senso dal punto di vista logico e umano?
Inoltre la verifica degli effetti a lunga distanza riguarda anche il Covid in quanto tale. Quali strascichi può avere sull'organismo dei guariti l'esperienza della malattia e anche solo del contagio? Il "long Covid" già oggi è oggetto di studio presso centinaia di migliaia di persone affette, a proposito di verifica scientifica. E le prime risultanze non sembrano rassicuranti (anche in termini percentuali, trattandosi del 20-30% dei contagiati).

Non possono impormi nulla... protesta il renitente al vaccino, facendo del proprio corpo un'insuperabile barriera. È facile obiettare che la sua libertà, che vorrebbe assoluta, è violata ogni giorno dai semafori stradali, dal divieto di guidare contromano (tanto più in autostrada), dal divieto di parcheggiare nello spazio riservato ai disabili, dalla proibizione di fumare in ambienti chiusi, dall’obbligo di disporre della tessera sanitaria, e... dall'obbligo di pagare le tasse (che il piccolo-borghese spesso evade, ma è un altro discorso). In ognuno di questi casi la “propria” libertà ha come confine la libertà degli altri, il loro diritto sociale e civile. Perché non dovrebbe valere lo stesso criterio in fatto di vaccinazione? I vaccini obbligatori esistono già. Non si vede quale ragione possa accampare il rifiuto “per principio” dell'obbligo di vaccinazione e persino della sua induzione (green pass).
La massima copertura vaccinale è suggerita da ogni considerazione sanitaria e sociale: protegge chi non si può vaccinare o non si è ancora vaccinato, rallenta la circolazione del virus, contrasta l'insorgere di ulteriori varianti, abbatte la carica virale del contagio.
Il fatto che oggi la massima contagiosità della variante Delta si combini con un tasso contenuto di ricoveri e terapie intensive, molto più basso che nelle prime ondate della pandemia, è la misura incontestabile dell'efficacia del vaccino. Si può non vederlo? È una ragione decisiva per completare la vaccinazione.

Il vaccino non impedisce il contagio, neppure con la doppia dose. A che serve dunque?. Seguono gli immancabili dati che dimostrano l’aumento percentuale dei vaccinati tra i contagiati. Questo argomento non regge la prova della logica. La vaccinazione non è totalmente sterilizzante; chi la presenta come tale, o così l’ha capita, è un cretino. Semplicemente la vaccinazione abbatte, senza annullarla, la possibilità di contagiarsi. È evidente che se si estende la vaccinazione di massa diminuisce il numero dei contagiati (di conseguenza dei ricoveri e dei decessi), ma aumenta parallelamente tra i contagiati la percentuale dei vaccinati. E viceversa: meno sono i vaccinati, più aumenta il numero dei contagiati, dei ricoverati, dei morti, mentre cala la percentuale dei vaccinati. Chi brandisce come prova di scandalo finalmente svelata il contagio di qualche vaccinato dimostra solamente di essere accecato dal pregiudizio, nel momento stesso in cui il pregiudizio è smontato non solo dai fatti ma dalla logica.

I ricoveri hanno ripreso ad aumentare, seppur in misura ancora modesta, per effetto dell’espansione della variante Delta. L’aumento dei ricoveri Covid, come mostra la drammatica esperienza vissuta, non chiama in causa solamente la vita dei pazienti che ne sono affetti, ma l’insieme delle patologie, a partire dalle più gravi. Nell’ultimo anno e mezzo negli ospedali italiani si è accumulato un enorme ritardo in fatto di diagnosi e trattamenti oncologici. Complessivamente diverse centinaia di migliaia di persone sono state private del diritto di cura, molte tra loro sono state condannate, di fatto, a morire. Tamponare il contagio per Covid con lo strumento della vaccinazione significa dunque contrastare un’emergenza sanitaria molto più grande della pandemia. Un'emergenza che ha certo radici lontane, prodotte dai tagli alla sanità, ma che il Covid e la gestione borghese della pandemia hanno tragicamente aggravato.

Il pericolo riguarda gli anziani, teniamo fuori i giovani, si sente dire. Si potrebbe obiettare che i più giovani, sotto i dodici anni, sono già esentati dal trattamento vaccinale, pur potendosi ammalare, talvolta in forme anche gravi (vedi Indonesia). E che le prudenze sulla vaccinazione tra il 12 e i 17 anni sono presenti a tutti, anche in ambito scientifico. Al tempo stesso occorre evitare di affrontare la questione da un'angolazione solamente individuale, come se il rapporto costi/benefici non riguardasse anche la società. I giovani sono oggi – anche perché meno vaccinati – i principali portatori del virus. Vaccinare i giovani significa ostruire la principale via del contagio, a protezione dei più anziani non ancora vaccinati. È una forma di solidarietà sociale. Il fatto che i giovani siano i più propensi alla vaccinazione, e i più estranei alle manifestazioni reazionarie, è anche per questo un fatto altamente positivo. Non è sufficiente per compiere azzardi, in presenza di dubbi scientifici fondati per quella fascia d'età che sono ancora irrisolti, ma è più che sufficiente per affrontare la questione con serietà e col metodo giusto, senza rimozioni o isterismi.

Il vero scandalo sta nel fatto che in Italia dai due ai tre milioni di persone sopra i 60 anni di età non sono ancora stati vaccinati, pur avendone in non pochi casi fatto richiesta: per la scarsità di vaccini garantiti dalle aziende farmaceutiche, per i tempi lenti del servizio pubblico, per l'assenza del personale necessario, per la regionalizzazione del sistema sanitario, per le conseguenze, insomma, di una sanità pubblica disossata.
Lo scandalo sta nel fatto che si ricorra a un generale in divisa per predisporre la protezione sanitaria della popolazione, e che il famigerato PNRR destini alla sanità l'ultima voce di spesa, per di più indirizzandola a enti e soggetti privati, gli stessi ai quali la gestione della pandemia ha già garantito crescenti spazi di mercato e di profitto.

Il governo vuole imporre la vaccinazione del personale sanitario e scolastico per coprire la rinuncia a misure di svolta nella sanità e nella scuola pubblica. Vero, anzi verissimo. Non si vede, del resto, come un governo Draghi, espressione del capitale finanziario, possa realizzare una qualsiasi svolta progressiva, anche solo di carattere riformistico. Al governo obbligo vaccinale o green pass interessano per una sola ragione: evitare altre misure di lockdown che possano intralciare la ripresa capitalista. Punto. La sanità può continuare com’è, con la mancanza di posti letto e attrezzature adeguate, salari miserabili, infermieri costretti a turni di dieci ore per carenza di personale, nuove assunzioni tutte precarie, per lo più interinali, assenza di una reale medicina territoriale pubblica, sistemi di tracciamento inesistenti...
La scuola può continuare com’è, con edifici fatiscenti, classi pollaio, insegnanti malpagati, precari a vita in concorrenza tra loro, alta percentuale di abbandoni.
L’importante per i governi borghesi è continuare a ingrassare scuola e sanità private, privatizzare scuola e sanità pubblica, pagare il debito pubblico alle banche. Il resto mance. Sono ragioni più che sufficienti per l’opposizione alla borghesia e al suo governo, per una programma di misure anticapitaliste che preveda un investimento massiccio nella sanità e nella scuola pubbliche, un vasto piano di assunzioni vere, la regolarizzazione immediata del personale precario, un aumento generale dei salari in entrambi i settori, l’esproprio di scuole e sanità private per l’universalismo del servizio pubblico e la sua gratuità.
Ma cosa c’entra tutto questo con il rifiuto dell’obbligo vaccinale nella sanità e nella scuola? Se il governo lo usa come schermo per nascondere la propria politica sarà una ragione in più per denunciare il governo, non per contrastare la vaccinazione. Tanto più in due settori che per ragioni diverse sono strategici al fine di combattere la pandemia, e dove la vaccinazione è strumento di protezione innanzitutto per chi ci lavora, come mostra la tragica moria di personale sanitario mandato allo sbaraglio sul fronte Covid nell’esperienza di un anno fa.

Il governo può usare il green pass per dividere i lavoratori, discriminare, licenziare. Vero. Un governo borghese è sempre capace di usare una misura in sé progressiva a fini antioperai. Il divieto del burka o delle mutilazioni genitali è usato in diversi paesi imperialisti come strumento di campagne xenofobe, prevalentemente islamofobe. Ma non è una buona ragione per difendere l'oppressione delle donne da parte del più reazionario integralismo religioso islamico. Si tratta dunque di non confondere cose diverse. L’idea di licenziare e/o privare di stipendio chi rifiuta la vaccinazione è ripugnante e va rigettata, come già ai tempi del rifiuto della polio. Un conto è cambiare transitoriamente la mansione del renitente (o impossibilitato) al vaccino, fino al superamento della pandemia, a protezione sua e degli altri lavoratori e del loro diritto alla salute; ciò che risponde a un principio di tutela. Un altro è la condanna alla fame e alla privazione della dignità per chi non si vaccina.

Questa è l’idea di Confindustria, che punta a nascondere la volontà di licenziare dietro nobili istanze sanitarie, anche grazie al formidabile assist che le ha offerto Maurizio Landini con l’avviso comune a favore dello sblocco. In questi giorni la volontà della fabbrica mantovana Sterilgarda di procedere arbitrariamente col licenziamento dei non vaccinati dà la misura di ciò che si agita nella pancia del padronato. Ma perché la difesa incondizionata del diritto al lavoro e al salario per tutti i lavoratori e lavoratrici contro gli interessi padronali dovrebbe implicare il rifiuto della campagna vaccinale in quanto tale, cioè di una campagna di salute pubblica a tutela innanzitutto dei salariati? Il rischio che si corre, così facendo, è quello di regalare ai padroni il consenso dei loro salariati che chiedono tutela. Magari di quelli che nel marzo del 2020 hanno scioperato per rivendicarla, e che oltretutto si sono in larga parte già vaccinati.

Opporsi al governo e ai padroni non implica affatto opporsi alla massima copertura vaccinale. Al contrario. Opporsi alla massima estensione della vaccinazione , nel momento in cui oltretutto la larga maggioranza dei lavoratori vede positivamente questa misura, rischia di regalare al governo un consenso indebito e gratuito, quello sì pericoloso per il movimento operaio.

Il piano del discorso va ribaltato, sviluppando una linea di egemonia di classe sulla domanda vaccinale e di sicurezza sanitaria, in alternativa alla gestione capitalistica della pandemia e in aperta contrapposizione ai padroni e al governo.

Chiedendo conto a padronato e governo dei ritardi scandalosi nella gestione della vaccinazione, scuola inclusa.

Rivendicando l'obbligatorietà del vaccino nella sanità e per il personale della scuola, e la massima estensione della copertura vaccinale in ogni settore.

Opponendo il no alle pretese di Confindustria di gestire la vaccinazione usandola per ristrutturazioni, licenziamenti, privazioni di stipendio per i non vaccinati, e invece rivendicando il controllo dei lavoratori sulle condizioni della sicurezza sanitaria in fabbrica.

Denunciando la miseria degli investimenti nella sanità e nell'istruzione, a fronte della montagna di miliardi destinati ai capitalisti.

Rivendicando un piano straordinario di investimenti pubblici nella sanità, nella scuola, nei trasporti, finanziato da una patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco.

Chiedendo un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato e di regolarizzazione immediata dei lavoratori precari che consenta una svolta vera nell'intensificazione delle vaccinazioni, la ricostruzione di una medicina territoriale, un capillare sistema di tracciamento, la riduzione del numero di alunni per classe e di classi per insegnanti, un sistema di trasporto pubblico che garantisca condizioni di sicurezza: tutti fattori decisivi, assieme alla vaccinazione, per il contrasto della pandemia.

Rivendicando l'esproprio senza indennizzo della sanità e della scuola private, per un sistema sanitario e scolastico interamente pubblico, universale, gratuito.

Denunciando gli accordi segreti stipulati con le multinazionali del farmaco a livello UE al solo scopo di consentire loro di vendere i vaccini al prezzo più alto sul mercato mondiale e di tutelare i propri brevetti.

Rivendicando l'esproprio senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori di tutta l'industria farmaceutica, con una campagna internazionale del movimento operaio e sindacale.


Anche sul versante della lotta alla pandemia l'esigenza dell'avanguardia è quella di salvaguardare una posizione di classe autonoma, legando le domande immediate di natura progressiva alla prospettiva rivoluzionaria di un altro potere: un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, l'unico che può vaccinare la società dal capitale.

25 giugno 2021

 




Partito Comunista dei Lavoratori - Genova
Invia un messaggio
Ancora una volta i lavoratori dell'ex Ilva scendono in strada.
Manifestano, giustamente, la loro rabbia e il loro dissenso per la decisione dell'azienda di mettere tutti i 900 dipendenti in cassa integrazione. Il settore siderurgico non è in crisi, tuttavia i dirigenti non si rivedono e soprattutto non si ravvedono su questa decisione. Come militanti del Partito Comunista dei Lavoratori, e come genovesi, siamo stati sempre al loro fianco. Hanno lottato, manifestato, presidiato spesso in questi anni per il loro futuro lavorativo sempre incerto, oscuro. Colmo di attese deluse. Accordi saltati. Incertezze. Migliaia di lavoratori con il loro posto a rischio. Unici, e sempre loro, a pagare per scellerate decisioni o negligenze. E Genova, come città, lo sa bene. Altre fabbriche hanno lottato e pagato con licenziamenti o delocalizzazioni. Non ci siamo dimenticati della Piaggio Aereonautica, di Eriksson, di Leonardo, e molte altre, anche piccole e medie aziende. A catena, altre realtà, hanno chiuso. Le sorti di Genova hanno pagato a caro prezzo queste chiusure. In tutto questo il governo? Il 28 giugno il ministro Andrea Orlando, incontrerà le organizzazioni sindacali e le rsu. Lo striscione di apertura del corteo scriveva appunto: Governo servo complice di Mittal. Queste parole descrivono, e ci raccontano, la realtà dei fatti. Non ci può essere fiducia alcuna in governi che hanno tradito le aspettative di lavoratori e pensionati.
Governi privi di vera volontà nei confronti del mondo sociale, che non migliorano affatto le condizioni di un paese allo sfascio. Slogan, passarelle, parole di circostanza date in pasto ai media, non risolvono i problemi legati al mondo del lavoro, strettamente legato alla vita di ognuno di noi. Al quindici del mese, centinaia di famiglie hanno finito i soldi. La parola basta è d'obbligo. Tutti devono avere un lavoro sicuro nel tempo, tutele personali e retributive. Solo così si può vivere dignitosamente. Per tutti questi motivi, il Partito Comunista dei Lavoratori, sostiene questa ennesima vertenza dei lavoratori ex Ilva. Già provati, per anni di lotte, per incertezze sul proseguo del lavoro stesso, per vane aspettative, per scarse tutele, ambientali( a Taranto vi è un tasso di inquinamento e mortalità altissimo...), per cause civili e penali ai loro dirigenti, per cambi di proprietà, incertezze. Per questi motivi siamo con loro, con tutti i lavoratori e le loro famiglie, auspicando, risposte positive e interventi , subito, atti a risolvere questa ,loro, ennesima doccia fredda.